In genere i genitori, nello sport, accompagnano i figli su due tipi di tracciato. Quello che conoscono per esperienze passate personali o lungo un percorso inedito seguendo i desideri dei bambini.
In entrambi i casi, sentieri lastricati di reciproche aspirazioni. Le situazioni osservabili vanno, all’inizio soprattutto, da un estremo, il bimbo “molto dotato” all’altro “per nulla portato allo sport”
Non è raro osservare una situazione posta lungo la linea, nella Terra di Mezzo… e di giudicare il ragazzino/a con le lenti delle nostre aspirazioni o idee preconcette.
Troviamo per esempio il bambino che pur adatto allo sport, non è all’altezza delle aspirazioni dell’ adulto nel suo comportamento o risultato/miglioramento ottenuto .
La cultura televisiva ci presenta campioni già fatti e ricchi, non il loro percorso di fallimenti e miglioramenti.
Spesso gli adulti/genitori, anche per questo, si aspettano di trovare riflessi nei loro ragazzi sportivi, sin dall’inizio, una serie di qualità assoluta: figli vincenti, coordinati, volitivi, coraggiosi, aggressivi, felici, altruisti, generosi, collaborativi, leader….etc. etc.
Già impossibile, tutto questo, da trovare in un soggetto unico, figuriamoci durante la formazione. La realtà è sempre un MIX di tratti forti e deboli, anche nei campioni.
Genitori ed Educatori sono chiamati quindi ad “allenare”/migliorare tratti di carattere e comportamenti che reputano migliorabili, e non è detto che sia davvero così e in quel preciso momento.
Un’ altra variante di bambino è rappresentata da quello che non mostra una vera propensione allo sport, pur frequentando gli allenamenti. Svogliato e/o deconcentrato, in genere finisce reietto e allontanato da compagni e allenatori.
Nelle età 4 – 7aa, non è un caso infrequente. Questi elementi possono essere vissuti con un certo disagio, ma vanno accettati. La maggior parte, se persevera, si sblocca ed è il motivo per cui tanti “veri” educatori li tengono nell’ambiente sperando in tempi migliori.
L’ultima situazione è forse la più interessante e sfidante [e non è detto che una parte non appartenga alla categoria degli Svogliati e/o Deconcentrati]:
Il Bambino che non riesce a essere all’altezza del suo immaginario – spesso di derivazione genitoriale. Il fatto di non “essere all’altezza” di se stesso o degli altri lo fa soffrire.
Il confronto nello sport è impietoso, un po’ mitigato in un contesto di squadra ma comunque presente. Vedere altri compagni più bravi è la norma ma, se consideriamo questo aspetto, all’inizio di una attività sportiva vanno considerati il grado di severità con cui il bambio si giudica e quella di mortificazione inflitta e/o autoinflitta. Tutto ciò rappresenta un rischio concreto di abbandono dello sport o della disciplina.
La situazione di equilibrio va ricostruita offrendo al bambino una regola di “ingaggio”alternativa.
Non assecondare l’abbandono, ovviamente ma stabilire un “patto con se stesso” ed essere chiari anche con i genitori
E’ necessario fare in modo che il bambino possa CONCEDERSI TEMPO*. Tempo per crescere, tempo per migliorare, tempo per riuscire.
Strategia difficile da realizzare ma sono gli adulti che devono dare ritmo all’attesa.
Far capire al bambino che l’EDUCATORE ASPETTA è fondamentale e, quando il bambino migliora, evidenziare prontamente l’evento in positivo.
A corollario di questo enunciato…
Il bambino deve IMPARARE A SENTIRSI SODDISFATTO! Se neghiamo al bambino i risultati positivi (anche piccoli) già raggiunti, e spingiamo solo sul prossimo miglioramento senza sottolineare il punto e il percorso, creiamo un substrato per la frustrazione, e per l’ AUTOFRUSTRAZIONE che è peggio.
Il MANTRA del bambino che fa sport e si diverte è VOLERSI BENE – SENTIRSI BENE.
*= concedersi tempo non è, semplicemente, lasciar passare il tempo ma darsi tempo in maniera attiva. Rendere consapevole il bambino attraverso atti conseguenti che l’impegno, il lavoro e l’esercizio ripetuti e protratti portano al sicuro miglioramento.
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