Mi piace parlare di “Campionite”. Un termine che non esiste nel vocabolario italiano ma che rende l’idea. Potremmo definirlo come l’atteggiamento malato di allenatori e/o genitori che finisce per esercitare pressioni psicologiche indebite, in grado di avvelenare la vita (sportiva e non) dei ragazzi/e.
E’ un contesto malato in cui si sviluppano disagi e abbandoni prematuri dello sport perché ci si sente costretti, infelici e inadeguati. Beninteso, é difficile arrivare a livelli di eccellenza senza un certo grado di coercizione, una ferrea disciplina e una tensione costante al miglioramento e al risultato.
Tutto, però, deve poter procedere per gradi, in caso ci siano atleti con caratteristiche adeguate e, peraltro, non é scritto da nessuna parte che ci si debba infilare in un labirinto di stress.
Credo che sia sbagliato…
…a livello di sport giovanile, pretendere performance, dagli atleti/e, prima che si siano sviluppate adeguate qualità. Fino ai 10-12 anni, inoltre, va sempre prediletto il divertimento e, nel nostro sport, il gruppo e l’amicizia.
Nell’alto livello, guardando ai recenti scandali della ginnastica, alle costrizioni e alla violenza verbale, c’é sempre un limite da salvaguardare. La dignità della persona e, in questo caso, delle bambine.
Capita di vedere, nei ragazzi/e, l’insoddisfazione o l’esaltazione a causa dei comportamenti di genitori e allenatori. Sminuire, umiliare i ragazzi/e per farli raggiungere medaglie o un risultato, é sbagliato.
Questi atteggiamenti richiedono, spesso, un prezzo molto alto agli atleti/e che li subiscono. Il rischio a tutti i livelli é che abbandonino lo sport o che lo vivano male anche una volta conclusa l’esperienza agonistica..